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Sorgenti elettromagnetichePer valutare il rispetto dei vincoli imposti all'intensità di campo elettromagnetico giudicata compatibile con l’esposizione umana, secondo quanto suggerito dalla norma CEI 211-7, è utile approfondire il principio di funzionamento dei principali sensori e delle tecniche di rilevamento ammesse.

 Introduzione

La protezione della popolazione e dei lavoratori professionalmente esposti ai campi elettromagnetici (e.m.) non ionizzanti deve essere basata su criteri oggettivi, pur essendo legata a interazioni dell’onda elettromagnetica con soggetti aventi reazioni diverse l’uno dall'altro. 

Allo scopo, si individuano valori delle grandezze di base o biologiche (es. densità delle correnti indotte interne al corpo in Ampere/m2 che stimolano i sistemi nervoso e muscolare, il tasso di assorbimento in Watt/Kg a cui è legata la sovratemperatura corporea) da non superare, che costituiscono riferimenti dosimetrici.

Ai riferimenti dosimetri legati alle grandezze di base o biologiche corrispondono dei valori limite delle grandezze derivate, che sono esterne al corpo e che costituiscono riferimenti più facilmente misurabili (come il campo elettrico e il campo magnetico) di esposizione.

In particolare prenderemo in considerazione la porzione dell’intero spettro delle radiazioni non ionizzanti (0-300 GHz) normata dalla Guida CEI 211-07 e che va da 10 kHz fino a 300 GHz (radiofrequenza).

Richiamiamo, allo scopo, due classificazioni dello spettro elettromagnetico. In ambito ITU esso è suddiviso in 11 bande da 3Hz a 300 GHz, mentre in ambito IEEE si classificano soltanto le bande radar (microonde), come segue:

Classificazione spettro elettromagnetico

In funzione dell’ampiezza (intensità di campo elettrico e/o magnetico dell’onda), del contenuto armonico, della rapidità di variazione nel tempo del segnale generato, della polarizzazione e di altri parametri si devono individuare opportunamente la strumentazione di misura e la tipologia della stessa.

Le sorgenti dei campi elettromagnetici sono di varia natura: industriale, domestica, medicale, radiodiffusione (broadcast, ad es. radio e tv), radiomobile, radar e così via.

Ogni oggetto o essere vivente introdotto entro lo spazio in cui il campo elettromagnetico prodotto dalla sorgente è non trascurabile, ne perturba la distribuzione, ovvero le linee di campo vengono modificate.

Come discusso nel precedente articolo della serie, un operatore che effettua misure di campo deve prendere opportuni accorgimenti per non turbare sensibilmente, con la sua presenza, i valori delle grandezze del campo stesso, evitando così di compromettere la correttezza delle misure).

Gli strumenti di misura sono equipaggiati ciascuno con rilevatori (trasduttori connessi alle rispettive sonde) diversi in funzione dell’obiettivo della misura da effettuare:

  • Rilevatore di picco, estrae il valore di picco del segnale in ingresso
  • Rilevatore del valore efficace Aeff (RMS), estrae il valore efficace del segnale indipendentemente dalla sua forma. L’operazione valida per segnali a(t) periodici di periodo T
    Valore efficace
  • Rilevatore del valore medio Pm, estrae il valore medio dell’inviluppo del segnale in un prefissato intervallo T (vedremo che per gli effetti acuti di riscaldamento viene scelto T=6min)
    Valore medio

La grandezza misurata, come accennato sopra, solitamente non coincide con una delle grandezze di base, ma è una grandezza derivata.

Ad esempio, per la misura del modulo del campo elettrico solitamente si misura la tensione ai morsetti del rilevatore: l’antenna (sensore) ricevente converte l’onda elettromagnetica in corrente elettrica o tensione ai morsetti del ricevitore.

Da questa misura (campo elettrico o tensione) si può dedurre la corrispondente entità della grandezza di base (biologica).

Si definisce sensibilità del misuratore il rapporto fra la variazione della grandezza in uscita (grandezza letta sullo strumento) e la variazione della grandezza in ingresso (che ha provocato la modifica del valore letto).

La minima variazione della grandezza sotto misura che può essere discriminata dallo strumento e valorizzata senza interpolazioni rappresenta, invece, la risoluzione. Il minimo valore della grandezza all’ingresso dello strumento che può essere apprezzata (sotto forma di valore leggibile della grandezza all’uscita) è la sensitivity.

Il valore medio temporale del campo elettromagnetico., generalmente, è funzione del punto di misura, ossia è una variabile spaziale. Per ciascun punto, pertanto, si può dedurre l’indice dell’esposizione umana prolungata a partire dal valore medio suddetto.

Poiché gli strumenti non hanno, in generale, una risposta (grandezza di uscita) indipendente dalla frequenza a parità di ampiezza della grandezza di ingresso, è necessario qualificare ciascuno degli strumenti di misura tramite la risposta in frequenza.

Gli strumenti, in generale, non rispondono istantaneamente alle variazioni del campo da misurare, per cui vengono qualificati anche tramite il tempo di risposta (tipicamente il tempo necessario a raggiungere il 90% del valore finale della grandezza misurata).

Uno dei problemi più complessi nella interpretazione delle misure ottenute dagli strumenti riguarda l’individuazione o meglio una affidabile stima dell’incertezza.

Poniamo z il valore reale della grandezza da misurare con un certo strumento. Se prescindiamo da errori sistematici che minano l'accuratezza della misura (ad es dovuti a campi re-irradiati dallo strumento o starature dello stesso che sistematicamente polarizzano la misura sovra o sotto stimandola di una quantità fissa), allora siamo in presenza di una incertezza casuale della misura avente distribuzione gaussiana.

Tutte le N misure effettuate con il medesimo strumento nelle medesime condizioni di ingresso si distribuiranno in un intorno del valore medio μ e avranno un andamento gaussiano della densità di probabilità (ddp) con scarto quadratico σ.

È intuitivo comprendere che tanto più ampio si fissa l’intorno del valore medio μ misurato e tanto più alta sarà la confidenza (probabilità) che il vero valore z stia all'interno di tale intorno.

Per questo tipo di incertezze (aventi ddp gaussiana), il legame fra l’ampiezza dell’intorno (ad es. multipli di σ, ossia  con k chiamato “fattore di copertura”) e la percentuale di confidenza è ricavabile matematicamente.

Ad esempio, fissati i fattori di copertura nei valori k = 1,2,3 sia ha una confidenza che il valor vero z si trovi dentro l’intervallo [μ-σ;μ+σ] rispettivamente pari a 68%, 95%, 99,7%.

Distribuzione gaussiana

E’ opportuno notare che con il crescere del numero N di misure effettuate per la medesima grandezza da stimare, si riduce l’incertezza ossia la distribuzione dei valori misurati tende sempre più a raccogliersi attorno al valor medio (intervallo di confidenza più stretto).

Per N>>1 la distribuzione dei campioni presenta uno scarto quadratico σ inversamente proporzionale alla radice quadrata di N.

La norma ITU-T K83 del 2011 stabilisce che l’incertezza “espansa” (somma quadratica delle incertezze singole al 95% di confidenza) dev’essere inferiore a 4 dB in tutto l'intervallo operativo delle frequenze. 

La tabella sottostante ricavata da un data sheet mostra un esempio applicativo delle norma citata.

Incertezza

Se si è in presenza di un campo elettromagnetico lentamente variabile (intensità costante per tutto il tempo dedicato alla campagna di misure) è quindi conveniente fare molte misure ripetute per ogni punto di interesse al fine di minimizzare l’incertezza.

Per campi velocemente variabili in ampiezza la ripetizione della misura nel medesimo punto non è ovviamente una strada percorribile per migliorare l’incertezza ma serve a conoscere l’evoluzione del campo elettromagnetico nel tempo.

Va altresì notato che alla affidabilità della misura contribuisce la conoscenza dei valori dei parametri ambientali che ne influenzano il risultato: temperatura, pressione, umidità e altre grandezze influenzano, infatti, la risposta dello strumento di misura.

Come accennato sopra, la misura istantanea in un punto (che si ritiene sottoposto ad un campo e.m. artificiale) ha poco senso. Allo scopo di dedurre informazioni utili sulla esposizione umana e su possibili effetti acuti, si effettuano misure sul valore medio e sul valore di picco.

La media temporale è di 6 minuti, in quanto i tempi di risposta del sistema termoregolatore del corpo umano sono di questo ordine di grandezza.

Se dopo tale intervallo di tempo l’esposizione persiste, si possono avere due scenari: nel caso di livelli moderati di esposizione la termoregolazione è sufficiente a smaltire il flusso di calore mantenendo la zona del corpo più esposta ad una temperatura più alta di quella esistente in assenza del campo elettromagnetico; nel caso di livelli critici di esposizione, il sistema non riesce a smaltire pienamente il flusso di calore, per cui si ha un aumento ulteriore del gradiente termico con conseguente rischio per la salute.

Le varie parti del corpo umano rispondono diversamente ai campi elettromagnetici incidenti, mostrando picchi di assorbimento specifico (misurati in Watt/Kg) a frequenze differenti l’una dall’altra (il cranio, gli occhi, il busto, ecc. hanno frequenze di risonanza differenti fra loro), per cui oltre al tasso di assorbimento specifico globale, detto SAR, si individuano i picchi spaziali locali di SAR e si fissano soglie massime di esposizione in relazione a tali picchi.

Si è sperimentalmente visto che nel caso peggiore (posizione della persona e condizioni al contorno che determinano la massima esposizione ovvero il massimo accoppiamento termico a parità di intensità di campo e.m. incidente) i livelli di campo elettrico incidente critico per la termoregolazione (effetti termici critici), nel range delle radiofrequenze, sono dell’ordine di qualche centinaio di V/m. Per questo motivo in molti paesi è stato adoperato un limite cautelativo di 40-50 V/m.

In Italia si è scelto un livello ancor più cautelativo pari a 20 V/m per le radiofrequenze. Al di fuori di tale banda i limiti normativi sono differenti e funzioni particolari della frequenza per cui in tali casi occorrono strumenti/sonde idonee a misure “shaped” ossia pesate diversamente alle diverse frequenze.

È fondamentale avere una conoscenza preventiva delle sorgenti (distanza e forma del sistema radiante) al fine di stabilire se la misura nel punto di interesse è eseguita in condizioni di campo lontano (approssimazione del fascio di onde e.m. con un’onda piana in cui i vettori E,H e di propagazione S sono fra loro ortogonali e in modulo E, H risultano proporzionali) o meno.

In questo caso il campo è radiativo (le componenti reattive sono del tutto trascurabili). Ciò non basta per esser sicuri che la misura letta dallo strumento sia corretta: occorrerà anche osservare se sono presenti ostacoli (soprattutto metallici o comunque conduttori alle frequenze della sorgente) che potrebbero creare onde riflesse e cammini multipli che perturbano le condizioni di onda piana (sorgenti secondarie non intenzionali vicine al punto di misura).

Ad esempio, nel caso di onde lunghe e medie il terreno (fino ad altezze pari a un quarto della lunghezza d’onda) funge da riflettore costruttivo per polarizzazioni verticali del campo elettrico e distruttivo per quelle orizzontali: pertanto la distanza dal suolo del punto di misura e la polarizzazione sono variabili cruciali per tali frequenze.

La misura andrà effettuata con sonde la cui dimensione massima è inferiore alla lunghezza d’onda più piccola del segnale emesso dalla sorgente. Ciò consente di tracciare la distribuzione puntuale dell’intensità con una buona risoluzione spaziale.

Di seguito una figura che riassume le considerazioni esposte [fonte norma CEI 211.7]

Campo vicino e campo lontano

Nella zona di induzione, posta nelle immediate vicinanze della sorgente, più facilmente si incontrano campi molto intensi.

Questi hanno le caratteristiche di campi reattivi: il campo elettrico E e quello magnetico H sono strettamente legati alla struttura ed alla dislocazione delle rispettive sorgenti fisiche (cariche per il primo, correnti per il secondo) e non sono deducibili uno dall'altro.

La misura di H ed E è pertanto molto più difficoltosa rispetto alla zona a campo radiativo.

Il rapporto tra le loro ampiezze (impedenza di campo) varia notevolmente a seconda del tipo di misura rispetto alla sorgente:

  • le sorgenti a struttura aperta (per esempio, le armature di un condensatore), sedi di alte tensioni e basse correnti, producono campi ad alta impedenza (maggiore di quella del vuoto), caratterizzati da intensi campi elettrici e campi magnetici deboli;
  • le sorgenti a struttura chiusa (bobine, elevate correnti con tensioni limitate) generano campi a bassa impedenza, con prevalenza del campo magnetico.

I campi reattivi decadono più rapidamente di quelli radiativi con la distanza dalla sorgente (in modo inversamente proporzionale ad un esponente >2), per cui sono predominanti solo fino a circa un decimo di lunghezza d'onda, mentre divengono trascurabili per distanze superiori ad una lunghezza d'onda.

Nella zona di induzione perde di importanza, dal punto di vista protezionistico, il concetto di densità di potenza, poiché il fenomeno predominante non è il flusso di potenza che si irradia dalla sorgente (come nella zona di radiazione), ma lo scambio di energia tra il generatore e i campi elettrico e magnetico.

L'energia associata con questi ultimi è immagazzinata nello spazio,in analogia con quanto avviene all'interno di un condensatore o di una bobina.

Per esempio, per una sorgente a struttura aperta che produce un intenso campo elettrico con un campo magnetico debole, il flusso di potenza radiata risulta trascurabile, ma non è certo da sottovalutare, dal punto di vista protezionistico, l’effetto del forte campo elettrico (che pertanto va misurato nel caso in cui la presenza umana può interessare tali regioni spaziali).

Alcune sorgenti di campo eletromagnetico sono appositamente progettate per irradiare (radiatori intenzionali), altre pur se progettate per scopi diversi (apparecchiature elettro medicali per diagnostica, chirurgia e terapia, riscaldatori e forni a induzione, saldatrici, incollatrici di plastica, presse dielettriche, forni a microonde, ecc.), irradiano significativi flussi di potenza nello spettro delle onde non ionizzanti.

Ad esempio nell'ambito della risonanza magnetica nucleare ci troviamo di fronte a tre tipi di emissioni: un campo magnetico statico, uno variabile e un campo impulsivo a radiofrequenza (da 1 a 200 MHz e fattore di cresta pari a un centinaio di unità, avendo potenze medie fino a 100 W e picchi di 10 kW).

In tutti questi casi è di interesse protezionistico misurare non soltanto il campo lontano ma anche quello vicino, stante la presenza dell’operatore (saldatore, medico, ecc.) a contatto con la macchina sorgente di campi elettromagnetici.

La modulazione, la gamma dinamica (rapporto fra ampiezza massima e minima), le armoniche significative oltre alla frequenza fondamentale, la polarizzazione dell’onda trasmessa, ecc. sono tutti elementi che vanno conosciuti per individuare l’opportuno strumento o banco di misure.

Nel caso di frequenze comprese fra 10 kHz e 10 MHz l’effetto sul corpo umano è l’induzione di correnti interne (che fluiscono dalle gambe verso il potenziale di terra) e di campi magnetici (che si mantengono interni al corpo e con linee chiuse in sezioni trasversali al corpo e nella periferia esterna).

Mentre la grandezza dosimetrica corrente indotta (che provoca stimolazioni nervose e muscolari indesiderate) può essere misurata interponendo lo strumento (es. milliamperometro) in serie fra la piastra di terra e quella in cui sono posti i piedi del soggetto, la misura del campo magnetico trasversale è notevolmente laboriosa.

L’assorbimento specifico (SAR) risulta confinato solo alla pelle per frequenze superiori alla decina di GHz.

Le misure di esposizione (a differenza di quelle dosimetriche) per l’intervallo di nostro interesse (10kHz-300 GHz) riguardano le sole grandezze seguenti:

  • Intensità del campo elettrico E (in V/m)
  • Intensità del campo magnetico H (in A/m)
  • Densità di potenza S (in W/m2)

La scelta della grandezza derivata da considerare dipende, come accennato, dalla sorgente, dal punto di indagine e dallo scopo della misura

Per isolare i contributi delle varie sorgenti è necessario effettuare misure in banda stretta (porzioni dell’intero spettro), mentre per una valutazione complessiva dell’impatto elettromagnetico. saranno sufficienti misure in banda larga.

Nel primo caso necessita un analizzatore di spettro (preferibilmente di un segnale già filtrato all’ingresso per mezzo di antenne selettive in frequenza).

Richiamiamo brevemente le principali definizioni che la CEI 211.7 fissa per le misure.
Lo strumento di misura è costituito di:

  1. sonda (probe), insieme di sensore (es. dipolo o spira) e trasduttore (rilevatore)
  2. i cavi necessari per trasferire il segnale del trasduttore all’unità di lettura e di elaborazione
  3. l’unità di lettura e di elaborazione dati

Schema funzionale catena di misura

Una volta attraversato lo stadio del sensore (dipolo, spira, ecc.), il segnale viene quindi convertito da uno dei rilevatori suddetti (diodo, termocoppia, bolometro) in corrente continua.

Tale segnale continuo passa attraverso un filtro passa basso a componenti passivi avente il duplice scopo di impedire che le correnti a RF prodotte dal sensore raggiungano gli stadi a valle del rilevatore e che tornino al rilevatore (onde riflesse).

Il segnale filtrato è quindi direttamente accoppiato con lo stadio di elaborazione per ricavare eventuali integrazioni nel tempo (media, valore efficace e picco temporale) o altre statistiche sui campioni in continua derivati dal segnale originale. In questi casi si parla di rivelazione diretta del segnale.

Le sonde devono rispondere prevalentemente alla grandezza da misurare e non ad altre (ad es. al solo campo elettrico e non a quello magnetico), devono avere dimensioni molto inferiori alla minima lunghezza d’onda del segnale per non costituire elemento radiante di disturbo al campo ricevuto (perturbando così la misura stessa), avere incertezza nota (vedi sopra richiami al concetto di incertezza associata alla misura).

Dipolo cortoPer il campo elettrico dipoli (o schiere di dipoli <λ/10) posti parallelamente al vettore del campo stesso, rispondono con una tensione di uscita (a morsetti aperti) proporzionale al modulo del campo e alla lunghezza del dipolo stesso.

Ad esempio per E=1 V/m e h=1 cm, alle frequenze < 3 GHz si ha V=5 mV con un’impedenza Zc = 1 / ωC > 1500 Ohm. Per sorgenti a frequenze <<10 kHz (fuori banda) possono crearsi accoppiamenti diretti capacitivi (su linee di collegamento in rame e sui filtri e i dipoli) che disturbano la misura.

Spira piccolaPer una spira (avente diametro < λ/10), adatta alla misura di campo magnetico, la tensione a circuito aperto è proporzionale all'area della spira, al modulo della componente del campo H ortogonale alla superficie della spira e alla frequenza.

Ad esempio per H=1/377 Henry/m e D=3 mm e D/d=8,25, alle frequenze < 3 GHz si ha V= 0,45 mV con un’impedenza ZL = ωL = 150 Ohm essendo L=μ D/2 ln [(8D/d)-2]. Per sorgenti a frequenze più alte (fuori banda) possono crearsi accoppiamenti diretti induttivi che disturbano la misura.

I cavi in fibra ottica sono un ottimo rimedio ai noti problemi di accoppiamento fra cavo a radiofrequenza (es. coassiale) e circuiti dell’unità di lettura ed elaborazione del segnale (unità preposte alla trasformazione del segnale proveniente dalla sonda in grandezza derivata leggibile nella forma desiderata).

Oltre alla risposta in frequenza e alla dinamica sulle ampiezze delle grandezze misurate, al tempo di risposta, caratteristiche già accennate prima, gli strumenti si caratterizzano anche per la loro stabilità, ossia l’attitudine a mantenere inalterate nel tempo la loro risposta per tutta la durata della misura.

La conoscenza dalle schede tecniche degli strumenti del livello di sovraccarico, del fondo scala e del livello di rottura dello strumento, consente di evitare rispettivamente misure inaffidabili e distruzione dello strumento stesso.

Per le misure a banda larga gli strumenti si distinguono, sulla base del loro rilevatore, in:

  • a diodo
  • a bolometro
  • a termocoppia

Negli ultimi anni la tecnologia dominante per la misura del campo elettrico è costituita da sonde basate su una struttura dipolo-diodo, che mostrano una buona sensibilità in rapporto alla dinamica dei segnali. Questa tecnologia è anche la più economica.

Ai capi del diodo è presente una tensione di ingresso (prodotta sul dipolo dal campo e.m. in cui è posto) che produce una corrente id. Sotto l’ipotesi di una tensione di ingresso inferiore al potenziale di barriera VT, se il diodo viene eccitato da una tensione RF sinusoidale a valor medio nullo, circola in esso una corrente il cui valore medio (non nullo) è proporzionale al quadrato dell'ampiezza della tensione eccitante.

Il tempo di salita è 1-5 μs. La curva di risposta (corrente vs tensione) è quadratica (quindi la corrente è proporzionale al modulo del vettore di Poynting del campo e.m. incidente, ossia alla densità di potenza dell’onda e.m.) solo per segnali di eccitazione sufficientemente piccoli. E’ questo il limite del rilevatore a diodo.

Caratteristica diodoNel grafico a destra è mostrata la regione “parabolica”, in cui il potenziale applicato al diodo (dipendente dalla differenza di potenziale, ddp, a sua volta prodotta dal dipolo) è inferiore al potenziale di barriera. Man mano che il rapporto fra ddp applicato e ddp di barriera cresce rispetto all’unità, l’andamento della curva si discosta sempre più dal ramo di parabola.

Nel grafico si è ipotizzato il tipico potenziale di barriera 0,7 V; in realtà impiegando un diodo Schottky, con più bassa tensione di soglia e alta velocità di commutazione, si ottengono tempi di ripristino della inversione di polarizzazione della giunzione dell’ordine del centinaio di picosecondi per i nostri piccoli segnali applicati contro i 100-1000 nanosecondi dei classici diodi.

Pertanto le frequenze di taglio del diodo sono dell’ordine di diverse decine di GHz, coprendo (in tal modo) anche le frequenze più alte di interesse protezionistico per le radiazioni non ionizzanti (le microonde).

Lo svantaggio del diodo Schottky è la sensibilità alla luce visibile e all’infrarosso (lo loro presenza diminuisce il valore letto, per cui la sonda va posta in ombra). La funzione i(V)di tale diodo è data dalla caratteristica vista in condizioni di buio, spostata parallelamente verso il basso di una quantità proporzionale, entro un grande intervallo, al livello di illuminazione

Allo scopo di rendere idealmente quadratica la risposta anche per segnali di ingresso più forti (aumentando la dinamica supportabile), l’escamotage è quello di attenuare il segnale all’ingresso del diodo per fare rientrare la differenza di potenziale applicata al diodo sotto il valore del potenziale di barriera (opportuni circuiti di equalizzazione dinamica consentono di ricostruire, entro certi limiti, il valore efficace, RMS, del campo e.m.): tecnica necessaria con l’avvento sempre più diffuso di segnali modulati con tecniche numeriche aventi alto fattore di cresta.

Forme d’onda con fattori di cresta >>1 sono sostanzialmente prodotte da tutti i moderni apparati digitali (UMTS, LTE, digitale terrestre, ecc.) oltre che da sorgenti radar.

Si tratta di segnali ben diversi dalla classica forma d'onda continua sinusoidale (CW) non modulata avente fattore di cresta √2. Per la forma d’onda sinusoidale non modulata, infatti, il valore efficace è 1/√2 volte l'ampiezza e il fattore di cresta è √2, mentre per le forme d’onda suddette il fattore di cresta supera di molto l’unità.

Infine, va ricordato che per ottenere una misura isotropa del campo elettrico occorre disporre di una struttura triassiale di coppie dipolo-diodo (e relativi circuiti di compensazione degli errori), altrimenti ciò che si ottiene dalla singola coppia è una misura direttiva del campo (quindi con intensità rilevata dipendente dalla inclinazione dell’asse del dipolo rispetto all’onda e.m. incidente).

Viceversa la tecnologia a termocoppia è più costosa, idonea intrinsecamente alla misura di segnali con elevato fattore di cresta, ma poco sensibile (rispetto ai limiti vigenti in Italia).

Ha anch’essa una risposta (in V/m) piatta con la frequenza e anch’essa rileva il valore quadratico del campo elettrico: la corrente a RF che circola nel giunto caldo vi dissipa, per effetto Joule, una potenza che ne innalza la temperatura rispetto a quella del giunto freddo.

Si genera, pertanto, nella termocoppia una tensione continua legata al valor medio della potenza RF dissipata. Tempo di salita 1-5 ms, ossia una risposta tipicamente 1000 volte più lenta del diodo.

Entrambe le sonde sono soggette a surriscaldamento/rottura in presenza di alti valori di campo, anche a strumento spento (durante il trasporto e le misure si dovrà tener conto di questa delicatezza).

Si può notare dalle schede tecniche di alcune famiglie sonde in commercio, che si possono reperire probe sia a diodo che a termocoppia per l'intervallo di frequenze 100 kHz-60 GHz. Si può notare che quelle a diodo hanno una sensibilità maggiore (campo minimo misurabile rispettivamente elettrico dell’ordine di 0,2 – 0,8 V/m e magnetico di 0,017 – 0,026 A/m) delle probes a termocoppia (valori minimi misurabili 8 -18 V/m), mentre la linearità all’ampiezza è simile (1 - 3 dB per le intere dinamiche supportate), così come la sensibilità in frequenza (errori dell’ordine di 1 – 2 dB).

I bolometri, invece, sono strumenti sempre adatti alla misura in banda larga, ma costituiti da un elemento, in genere una lamina metallica (resistore) rivestita di nerofumo, in grado di assorbire quasi tutto lo spettro elettromagnetico (idealmente un corpo nero) e la cui resistività è fortemente variabile con la temperatura.

Nel bolometro a termistore, infatti, la radiazione assorbita provoca un innalzamento della temperatura sulla lamina posta in serie ad un ponte di Wheatstone, per cui l’effetto finale consiste in uno sbilanciamento del ponte e conseguente variazione della intensità di corrente.

Tali bolometri sono quindi wattmetri RF collegati con rilevatori (termistori) che hanno una sensibilità inferiore al diodo-dipolo prima richiamato, ma risultano adatti a rilevare valori massimi di potenza RF di 8-20 W.

I bolometri sono fortemente sensibili alla deriva termica (per le termocoppie di nostro interesse è ben compensata ponendo i giunti caldo e freddo molto vicini), a differenza del sistema dipolo-diodo (sensore e rilevatore), in cui la cui conduttività del semiconduttore cambia con la temperatura meno criticamente. Tutti e tre i rilevatori suddetti sono intrinsecamente adatti a misure a banda larga.

Accenniamo al fatto che per le misure selettive (banda stretta) si adopera, invece, una connessione indiretta fra un analizzatore di spettro, sul quale impostare opportunamente i parametri di banda analizzata e di risoluzione (oppure un ricevitore accordato in frequenza) e un’antenna idonea al range di frequenze operativo. Si parla di accoppiamento RF (a radiofrequenza) fra i due blocchi.

A titolo di esempio riportiamo le larghezze di banda dei segnali radiomobili e TV:

  • Singolo canale UMTS = 5 MHz
  • Canale LTE da 1,4 a 20 MHz secondo step discreti standardizzati (in Italia sono impiegati esclusivamente multipli di 5 MHz)
  • Canale digitale terrestre = 8 MHz

L’analizzatore di spettro è connesso all’antenna (sensore) che capta il segnale della sorgente tramite un accoppiamento RF, ossia il segnale prodotto dal sensore non è convertito in uno a corrente continua, ma giunge allo spettro-analizzatore attraverso una linea di collegamento a RF o MW (cavo coassiale, guida d'onda).

Lo strumento è in grado di ricavare diverse informazioni tra le quali l'intensità e la frequenza fondamentale. La sensibilità di tale strumento è molto elevata, grazie al fatto che si amplificano segnali alternati (il che significa alti guadagni con basse derive) trasformati a banda molto stretta (raccogliendo così pochissimo rumore): le tipiche potenze minime misurabili sono dell'ordine del pico-Watt.

Questi strumenti forniscono misure molto complete e raffinate. Oltre alle misure di intensità di campo consentono di individuare la presenza di sorgenti indesiderate (interferenziali o in generale abusivamente occupanti spettro e.m.). Per contro, essi hanno un costo piuttosto elevato e competenze specifiche nel loro utilizzo per l’impostazione corretta dei parametri operativi (in relazione al tipo di misura da effettuare, infatti, vanno opportunamente valorizzati i parametri di lavoro dell’analizzatore di spettro).

La raccomandazione CEI 211.07 presenta una sintesi delle principali precauzioni per un utilizzo delle probes e degli strumenti di lettura/elaborazione dati (valide sia per misure a banda stretta che larga):

  • Collegare preferibilmente in fibra ottica la sonda allo strumento, altrimenti (cavo in rame) porre i cavi ortogonalmente alla polarizzazione del campo elettrico
  • Isolare eventuali sorgenti interferenziali nell’intorno del punto in cui è posto lo strumento
  • Isolare lo strumento da strutture conduttrici
  • Porre il corpo dell’operatore a distanza di almeno 3 m dallo strumento
  • Nel caso di misure indoor (ambienti chiusi) i punti di misura devono distare dalle pareti almeno 3 volte la dimensione massima del sensore
  • Controllare l’isotropicità della sonda ripetendo la misura a inclinazioni diverse rispetto alla sorgente
  • Preferire alimentazione in corrente continua anziché in alternata
  • Le misure vanno condotte in assenza dei soggetti esposti (campo imperturbato)

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